“Desidero dare voce a chi non ce l’ha, andare nelle zone d’ombra dove spesso nessuno va e chissà perchè quasi sempre ci trovo una donna”.
Qualche mese fa abbiamo intervistato Sabina Colloredo autrice di moltissimi libri per bambini e ragazzi che ha pubblicato nel 2020 Non chiamarmi strega edito da Gallucci Editore. Con lei abbiamo parlato non solo di lei e del libro ma soprattutto della figura femminile del passato e di oggi.

Sabina è una milanese doc e fin dalle scuole elementari aveva questa grande passione per la lettura e poi per la scrittura, quando incontra i ragazzi nelle scuole o nelle librerie, fa vedere sempre il suo quaderno delle elementari con sopra in bellavista il nome SABINA COLLOREDO, altro non è che un regalo della sua maestra con tutti i suoi pensierini delle scuole, un regalo a cui lei tiene tantissimo.
Quella bambina da allora non si è mai fermata, ha sempre continuato a scrivere, anche se ammette che allora non sapeva bene che avrebbe fatto la scrittrice. “Quando si è giovani ci sono dei talenti che vogliamo sviluppare ma non possiamo sapere cosa faremo nel futuro” ci dice Sabina.
Ha iniziato dalla pubblicità in un’agenzia di Milano, una vera palestra di lavoro per lei, poteva scrivere di qualsiasi argomento ma bisognava adattare il proprio linguaggio e la propria fantasia al prodotto che si doveva vendere, questo mi l’ha abituata a scrivere su temi diversi ma anche a prendere le idee e buttarle via se poco interessanti, insomma a fare sana autocritica.
Quando apre la sua agenzia pubblicitaria ammette che già si era un po’ stancata di quel mondo, era il periodo in cui erano nate le sue figlie ed aveva iniziato ad avvicinarsi ai racconti, inizia con dei romanzi storici e poi una volta iniziato smette più, sono passati venticinque anni ed è ancora qui a scrivere storie meravigliose per bambini, adolescenti o adulti.
Le chiediamo del suo legame con le donne e lei ci racconta, con l’eleganza che le appartiene, che il filo rosso che collega tutto il suo lavoro è la voglia di dare voce a chi non ha voce, di andare nelle zone d’ombra dove spesso nessuno va, negli anni poi si è sempre più resa conto che queste voci hanno spesso come interprete le donne. Troppo spesso infatti, le voci femminili pur avendo contato molto non sono state ascoltate, molte le donne della musica, dell’arte, della scienza che per esempio non ci sono sui libri scolastici. Ci avete mai pensato? Bè Sabina invece sì, ci pensava fin da bambina e questa cosa proprio non gli andava giù, perché invece di scrittrici donne, di scienziate donne, di regine ed anche di streghe ce n’erano tantissime nella storia. Ecco quindi che forse per un senso di giustizia o di appartenenza sarà lei a far conoscere ai ragazzi che l’universo femminile è importante esattamente come quello maschile cominciando a raccontare le storie di protagoniste prettamente femminili.

Ed è proprio femminile anche la protagonista di “Non chiamarmi strega”, un romanzo storico ambientato tra Italia ed Europa nel 1500, non tutti sanno che furono gli anni in cui la caccia alle streghe fu particolarmente feroce soprattutto in Italia. La caccia alle streghe durò tre secoli, dal 1400 alla fine del 1700, Sabina ci racconta che le cosiddette streghe altro non erano che donne erboriste che utilizzavano le loro conoscenze, tramandate da generazione in generazione, per curare i malati, questo, nella civiltà rurale di allora, dava alle donne un certo potere, a poco a poco questo potere però iniziò a fare paura così vennero perseguitate, uccise, torturate e bruciate sul rogo, pare addirittura che furono tra le 500.000 ed 1.000.000 nel corso dei tre secoli.
Le donne allora non potevano studiare, non sapevano leggere né scrivere, figurarci se potevano frequentale l’università, “lo studio però non sempre coincide col sapere” apostrofa Sabina e continua il suo racconto spiegando che le cosiddette streghe altro non erano che delle erboriste che avevano fatto della natura la loro farmacia a cielo aperto, tramandando di madre in figlia le loro esperienze e le loro conoscenze, praticavano la medicina non teoricamente ma direttamente sui malati quindi capivano subito su un medicamento andava bene oppure no. Paracelso, che nomina nel suo libro, è stato uno dei più grandi medici e ricercatori del 1500, disse nei suoi trattati “Tutto quello che so l’ho imparato dalle streghe” è stato uno dei pochi che ha compreso il potenziale che c’era in queste figure femminili.

Quando le chiedo se crede che la cultura patriarcale abbia ancora conseguenze sulla nostra società lei fa una distinzione ben precisa tra le vecchie e le nuove generazioni. Secondo lei i giovani non risentono più di questa cultura, nascono e crescono con le compagne di classe pensando che hanno gli stessi diritti e le stesse potenzialità. È il mondo degli adulti e delle istituzioni che ha fatto dei passi indietro invece. Quando ci sono gravi crisi economiche, sociali o pandemiche come in questo caso chi ne porta il peso maggiore sono sempre le donne, non a caso in questo ultimo anno il 90 % dei posti di lavoro persi sono stati delle donne, perché le donne che tentavano di conciliare la famiglia con il lavoro sono state penalizzate e questa è già una grossa discriminazione. La donna ancora oggi deve fare dei lavori di serie B o viene pagata di meno.
Quando infine le chiedo cosa pensa della violenza verso le donne racconta di come spesso con i ragazzi che incontra nelle scuole o nelle librerie affronti il tema.
“La caccia alle streghe è stata una forma di violenza raccapricciante ma istituzionale, perché erano la chiesa, i giudici e le istituzioni stesse che uccidevano donne innocenti, grazie al cielo oggi non sono più le leggi a fare differenze, ma c’è ancora tra gli individui una forma di discriminazione verso le donne”.
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