Economia Circolare in Italia: I consumi al bivio della circolarità

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Presentato oggi a Roma il 5° Rapporto sullo “stato di salute” dell’economia circolare in Italia. Il nuovo aggiornamento curato dal Circular Economy Network, in collaborazione con Enea è accompagnato quest’anno da un’indagine Legacoop-Ipsos sugli stili di consumo.

Nel 2023 solo il 7,2% dell’economia mondiale è circolare, cinque anni fa era il 9,1%. Il consumo dell’economia globale è 100 miliardi di tonnellate di materiali all‘anno. Quantità destinate, secondo le stime, a crescere fino a raddoppiare entro il 2050 rispetto ai livelli del 2015.

In questo quadro preoccupante, accelerare la transizione all’economia circolare contribuirebbe sensibilmente a migliorare le condizioni del pianeta. In particolare, l’estrazione di materiale vergine potrebbe diminuire di oltre un terzo (-34%) e le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte, contribuendo a limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2°C.

E’ dunque sempre più evidente l’importanza di promuovere la circolarità delle nostre economie. Una necessità ulteriormente accentuata dal difficile contesto internazionale, che richiede all’Europa e all’Italia di accelerare la transizione non solo per ragioni di carattere ambientale ed economico ma anche geopolitico.

Cosa emerge dal Rapporto?

In sintesi: a livello globale l’economia circolare, purtroppo, arretra, ma l’Italia si conferma Paese leader tra le più grandi economie europee. Non mancano tuttavia i campanelli di allarme perché l’Italia peggiora su alcuni indicatori chiave come il tasso di uso circolare della materia e la produttività delle risorse.

Tra i dati più interessanti del sondaggio Legacoop-Ipsos va segnalato che il 45% degli intervistati ha acquistato, negli ultimi 3 anni, un prodotto usato; il 36% un prodotto rigenerato o ricondizionato. La sharing economy, infine, piace ai giovani. Nella fascia di età 18-30 anni emerge infatti una predilizione per leasing, noleggio o soluzioni in condivisione.

Negli ultimi tre anni, fatta eccezione per l’acquisto di un prodotto usato di più largo consumo (45%), sia il noleggio (26%), sia lo sharing (15%) che il leasing (15%) risultano servizi utilizzati da una minoranza della popolazione. La propensione verso modelli di consumo più circolari è però in consistente aumento, considerando quanti in futuro intendono acquistare un prodotto usato (82%), ma anche noleggiare un prodotto (64%), ricorrere allo sharing (52%) e al leasing (55%). Ci si rivolgerà ai servizi di noleggio, di sharing e di leasing di più per le moto e le auto, mentre l’usato verrà scelto di più per l‘abbigliamento e gli accessori e l’usato rigenerato per prodotti tecnologici.

Anche se sette italiani su dieci ritengono che l’acquisto di un prodotto usato ricondizionato o rigenerato comporti benefici ambientali con minor consumo di risorse e minore produzione di rifiuti, è rilevante la quota di quanti considerano tali prodotti meno facili da trovare (31%), meno affidabili (36%) e meno duraturi (46%). Anche la gamma dei pregiudizi nei confronti dei prodotti usati ricondizionati o rigenerati è piuttosto ampia e diffusa: viviamo in una società non abituata al riuso (32%), le persone preferiscono avere sempre l’ultimo modello uscito sul mercato (28%), molti prodotti sono fatti per durare poco (25%), la possibilità di acquistare prodotti rigenerati o ricondizionati è poco conosciuta (25%), l’acquisto di prodotti usati è associato a un basso status sociale (24%).

Attenzione per gli imballaggi e consapevolezza sulla scrsità delle risorse naturali

Rilevante risulta l’attenzione agli imballaggi: con percentuali che vanno dall’82 all’85% gli italiani ritengono che l’imballaggio, se realizzato con materiale riciclato, debba garantire sicurezza se a contatto con alimenti; che debba essere realizzato con materiale riciclabile e proveniente dal riciclo e che, se realizzato con materiali riutilizzabili, sia riusato più volte e sia ridotto al minimo indispensabile.

Elevata risulta la consapevolezza (71%) degli italiani sulla scarsità delle risorse naturali e quindi sulla necessità di avere una maggiore cura per usarle meglio e più a lungo, riducendo gli sprechi. Una percentuale ancora più elevata (81%) ritiene che vi sia l’abitudine di collegare il benessere alla quantità di nuovi beni acquisiti, anziché alla maggiore cura dei beni che utilizziamo.

Cosa fanno in genere i consumatori italiani se un prodotto non funziona più? Cercano di ri-pararlo in percentuali più elevate per quanto riguarda auto e moto (50%), grandi elettrodo-mestici (43%), bici e monopattini (41%), un po’ più basse per quanto riguarda prodotti tech (39%), arredamento (33%) e abbigliamento (27%). Se il prodotto non è riparabile, il ricorso alla raccolta differenziata per avviarlo al riciclo è una scelta ormai consolidata (69%), ma anche la disponibilità di avviarlo al riutilizzo sarebbe ormai rilevante (52%).

L’Italia si conferma leader fra le cinque principali economie della UE

La classifica complessiva di circolarità nelle principali cinque economie dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna) è basata su sette indicatori: tasso di riciclo dei rifiuti; tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo; produttività delle risorse; rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali; quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia; riparazione; consumo di suolo.

Anche per questa edizione, a guidare la classifica è l’Italia, che totalizza 20 punti. Seguono la Spagna con 19 punti e la Francia con 17, mentre decisamente staccata la Germania (12 punti) e ancora più la Polonia con 9 punti.

I trend di circolarità

Il trend di circolarità permette di osservare quale Paese abbia fatto registrare il maggiore incremento di performance negli ultimi cinque anni. Gli indicatori sono quelli chiave utilizzati per la classifica precedente. L’Italia migliora meno della Polonia, che parte da livelli molto bassi di circolarità, e della Spagna che sta correndo più velocemente, mentre tiene lo stesso passo della Francia e va un po’ più veloce della Germania.

Tasso di riciclo dei rifiuti

La percentuale di riciclo dei rifiuti nel 2020 è stata del 53% in Europa e del 72% in Italia, che fa registrare uno dei tassi di riciclo più elevati nell’UE. Rispetto alle altre principali quattro economie europee, l’Italia nel 2020 ha consolidato il suo primato, superando di circa 17 punti percentuali la Germania, seconda in classifica. Ma l’aspetto più interessante è il tasso di crescita in questi dieci anni: invariato per l’UE, è salito di +8% in Italia e +3% in Spagna. Prestazioni negative, invece, per Polonia e Francia. Nel 2020, in termini quantitativi, è la Germania ad avviare più rifiuti a riciclo, con poco più di 76 Mt, seguita dall’Italia con 57 Mt e dalla Francia con 42 Mt. Decisamente al di sotto sono gli altri due Paesi: Polonia 27 Mt e Spagna 22 Mt. Per quanto riguarda i valori pro capite, è prima l’Italia con ben 969 kg/ab*anno avviati a riciclo. Seguono: Germania con 921 kg/ab*anno, Polonia con 726, Francia con 625 e in coda la Spagna con 472.

Tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo

Per l’Italia, meno positivo è l’andamento del tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo, definito come il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè da materie prime vergini + materie riciclate). Nell’UE nel 2021, ultimo anno disponibile, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo è stato dell’11,7%, sceso di 0,1% rispetto al 2020, dopo la riduzione già rilevata rispetto al 12% del 2019.

Per la prima volta da quando Eurostat registra questo dato, l’Italia, che storicamente ha sempre raggiunto ottime performance, nel 2021 ha subito un importante calo, attestandosi al 18,4% (ben 2,2% in meno rispetto all’anno precedente). Ha inoltre perso il primato tra le cinque principali economie europee, superata dalla Francia, in testa con 1,4 punti percentuali in più. Cala anche il valore della Spagna (da 11,1 a 8%), la Germania si mantiene costante (12,7%), mentre sale la Polonia (9,1%, +1,6%). Sul dato dell’Italia può aver influito la forte crescita, legata agli incentivi per le ristrutturazioni edilizie, del settore delle costruzioni, che presenta un basso utilizzo circolare dei materiali.

Produttività delle risorse

L’indicatore mostra come nel 2021 in media in Europa, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate vengono generati 2,1 euro di PIL. Per questo specifico indicatore, è confermato il primato dell’Italia (3,19 €/kg), seppure raggiunta dalla Francia (3,15 €/kg) a causa del rilevante decremento nell’ultimo biennio (-7%). Seguono Germania (2,69 €/kg) e Spagna (2,59 €/kg), mentre staccata è la Polonia (0,78 €/kg).

Il calo dell’Italia è dovuto principalmente a un importante aumento tra il 2020 e il 2021 dei livelli di consumo interno di materiali (+14,7%), non accompagnato nello stesso periodo da una eguale crescita economica (PIL +6,7%). Un altro motivo può essere riconducibile al rilevante aumento dei consumi di minerali, che tra i materiali analizzati presentano una minore produttività delle risorse rispetto al PIL. L’analisi dell’andamento negli ultimi dieci anni mostra un incremento medio della produttività delle risorse: +9% in Europa, +13% in Italia. La Polonia, pur restando molto al di sotto degli altri quattro Paesi, cresce del +30% rispetto al 2012. Nel confronto con il 2020, invece, nessun dei principali Paesi migliora, a eccezione della Spagna (+3%).

Produzione dei rifiuti e consumo di materiali

Il rapporto tra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali rileva l’indice d’intensità delle pressioni generate da un sistema produttivo per l’approvvigionamento delle materie prime: più basso è il valore del rapporto, migliore è la prestazione. Nel 2020 questo indicatore era al 35% per l’intera Unione europea (-2% rispetto al 2018).
L’Italia è al 38,1%, con un incremento di ben 12 punti percentuali rispetto al 2012. Nel confronto tra le cinque principali economie europee, la migliore prestazione è della Spagna (24,9%, -6% nel periodo 2018-2020). Seguono Polonia (26,4%), Germania (34,8%) e infine Francia(45,4%). Osservando l’andamento nell’ultimo decennio, solo la Spagna registra un decremento (-3,8%), Francia e Polonia mantengono pressoché le stesse performance del 2012, mentre l’Italia (+12%) e la Germania (+6%) segnano un incremento.

Consumo di energia rinnovabile

Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata sul consumo totale lordo di energia, si osserva mediamente in Europa un trend crescente del +7,5% tra il 2011 e il 2020 (fino al 22,1% nel 2020). I cinque Paesi analizzati sono però molto distanti dai recenti obiettivi europei (rinnovabili al 32% entro il 2030). In testa c’è la Spagna (21,2%), poi l’Italia con il 20,4%.Seguono Germania (19,3%) e Francia (19,1%), più staccata la Polonia (16,1%).
Nell’ultimo anno l’incremento nella quota di energia rinnovabile ha interessato tutti, anche in modo significativo, come nel caso della Spagna (+3,4%), dell’Italia (+2,2%) e della Germania (+2%). In Europa le prestazioni migliori sono di Svezia con il 60,1% di rinnovabili, Finlandia con il 43,8% e Lettonia con il 42,1%.

Riparazione dei beni

L’indicatore sulla riparazione dei beni analizza tre aspetti: numero di imprese, fatturato, numero di occupati. Nel 2020 l’Italia, con quasi 24.000 aziende che svolgono attività di riparazione, è al terzo posto tra le cinque economie più importanti d’Europa, dietro alla Francia (oltre 35.300 imprese) e alla Spagna (poco più di 29.100).
Negli ultimi dieci anni diminuiscono però le nostre aziende: 2.622 in meno rispetto al 2011, quasi -10%. Calano anche in Polonia (meno 1.394), mentre all’opposto crescono in Spagna (+8.707), Francia (+1.261) e Germania (+946). Se si considera invece il valore della produzione generato dalle aziende, in Italia supera i 2,1 Mld€ (+122 M€ circa rispetto al 2011), ponendosi dietro alla Francia (4,5 Mld€), a pari merito con la Spagna (2,1 Mld€) e leggermente davanti alla Germania (2 Mld€). Infine, gli addetti nelle imprese di riparazione operanti in Italia nel 2020 sono quasi 10.800 (in calo di circa 1.500 rispetto al 2019 e di 2.300 circa sul 2011), mentre Germania, Spagna e Francia impiegano un numero di addetti più che doppio rispetto all’Italia.

Consumo di suolo

Nel 2018 risultava coperto da superficie artificiale complessivamente il 4,2% della superficie totale dell’UE27. Durante lo stesso anno, tra le cinque economie analizzate la Polonia ha registrato il valore più basso (3,6%), leggermente superiore la Spagna (3,7%). Più alto quello della Francia (5,6%), ma meno dell’Italia (7,1%), mentre maglia nera è la Germania con il 7,6%. Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2018 tutti i cinque Paesi hanno segnato un aumento del consumo di suolo, con l’incremento più contenuto in Italia (+0,07%), a fronte del +0,7% della Germania.

Simone Martino
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Simone Martino

Classe 1978. Giornalista pubblicista. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma. Scrive per Italianews.press su Economia Circolare e Sostenibilità.

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