L’Italia si colloca all’interno dell’hot-spot del Mediterraneo, un’area particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento del clima. Le conseguenze per la gestione della risorsa idrica sono inevitabili perché impianti e infrastrutture saranno soggetti a maggiori rischi. Il Position Paper di REF Laboratorio Ricerche
Il Sesto Rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), massima autorità scientifica in materia di cambiamento climatico delle Nazioni Unite, dell’agosto 2021 ha confermato l’inequivocabilità dell’influenza umana sul riscaldamento globale.
Le conseguenze dell’aumento delle temperature sono già visibili, nel periodo 2011-2020 la temperatura è stata più alta di oltre un grado centigrado rispetto al periodo 1850-1900. Fenomeni meteorologici sempre più estremi, oltre a una serie di conseguenze come scioglimento dei ghiacciai, frequenti incendi, minore produttività delle colture hanno gravi ripercussioni sugli ecosistemi del Pianeta e sulla disponibilità di una delle risorse essenziali per la vita stessa sulla Terra: l’acqua.
I RISCHI LEGATI AL CAMBIAMENTO DEL CLIMA
I cambiamenti climatici hanno un impatto molto concreto sul sistema socioeconomico attuale e diviene imprescindibile analizzare e valutare i rischi ad essi connessi attraverso conoscenze già acquisite e sviluppando nuovi approcci. Generalmente i rischi legati al clima vengono suddivisi in due categorie: i rischi fisici e i rischi di transizione.
I rischi fisici derivano dall’”aumento della frequenza e dell’entità delle calamità naturali atteso nei prossimi decenni”. Questi racchiudono rischi fisici acuti, causati da fenomeni estremi quali tempeste, inondazioni, incendi o ondate di calore, e rischi fisici cronici derivanti da mutamenti climatici che si sviluppano nel lungo periodo, come i cambiamenti di temperatura, l’innalzamento del livello del mare, la minore disponibilità di acqua dolce, la perdita di biodiversità e i cambiamenti nella fertilità dei terreni e nella produttività del suolo. Le conseguenze dei rischi fisici sulle imprese variano ovviamente in funzione della regione geografica di localizzazione, ma in generale potrebbero portare a interruzioni dei processi produttivi e delle catene del valore.
La seconda categoria di rischi a cui generalmente ci si riferisce è il rischio di transizione, ossia la perdita finanziaria derivante, direttamente o indirettamente, dal processo di transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Secondo i nuovi orientamenti sulla comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario della Commissione Europea, i rischi a cui le imprese sono esposte in tal senso sono molteplici: vi sono i rischi legati all’implementazione di politiche volte a ridurre le emissioni di carbonio, per cui alcune imprese potrebbero sostenere costi aggiuntivi dovuti, ad esempio, all’imposizione di requisiti di efficienza energetica, di meccanismi di fissazione del prezzo del carbonio che vanno ad impattare sul prezzo dei combustibili fossili, oppure a politiche per incoraggiare un uso sostenibile del suolo.
Poi vi sono i rischi tecnologici, per cui la transizione ecologica potrebbe portare alla sostituzione di alcune tecnologie con altre meno dannose per il clima, con conseguenti perdite potenziali per le imprese meno innovative che non hanno contemplato l’utilizzo di queste ultime; i rischi di mercato, in particolare dovuto al riorientamento della domanda verso prodotti o servizi meno dannosi per il clima; quelli reputazionali, tra cui rientra l’allontanamento di investitori e altri stakeholder qualora l’impresa abbia una reputazione negativa sotto il profilo climatico-ambientale e infine i rischi giuridici per la mancata adozione delle misure previste per ridurre le ripercussioni negative sul clima.
L’AIUTO DELLA TCFD E DELLA TASSONOMIA UE PER LE IMPRESE
L’iniziativa internazionale di riferimento sulla rendicontazione dei rischi legati al cambiamento climatico è rappresentata dalla Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD). Per colmare la mancanza di informazioni sulle modalità di gestione dei rischi climatici, le raccomandazioni della TCFD hanno suggerito un framework secondo cui gli investitori dovrebbero essere facilitati nel capire come le imprese valutano e gestiscono i rischi legati al clima.

Esse si basano su quattro pilastri tematici – governance, strategia, gestione del rischio e metriche/target – supportati da undici informative finanziarie che raccomandano di descrivere i rischi e le opportunità legati al clima identificati nel breve, medio e lungo periodo, i relativi impatti e il grado di resilienza della strategia aziendale rispetto a tali rischi, prendendo in considerazione vari scenari climatici. Gli scenari elaborati dagli scienziati per prevedere i possibili cambiamenti del clima sono molteplici e integrano varie assunzioni sugli sviluppi economici, sociali, tecnologici e ambientali.
Le imprese negli ultimi anni hanno potuto scegliere volontariamente se avviare o meno un percorso di rendicontazione delle informazioni per valutare rischi e opportunità legati al clima attraverso le raccomandazioni della TCFD.
Dal 2022 vige tuttavia l’obbligatorietà, per le imprese che pubblicano la DNF, di includere informazioni sulle attività ecosostenibili ai sensi del Regolamento sulla Tassonomia UE, che richiede, tra gli altri, adempimenti riguardo la gestione dei rischi climatici.
Il primo passaggio richiesto dalla Tassonomia UE è quello di identificare i rischi climatici fisici che potrebbero impattare una determinata attività e le funzionalità dei suoi asset durante il proprio ciclo di vita. Alcuni rischi fisici vengono suggeriti all’interno dello stesso Atto Delegato che richiama la distinzione già presente per la TCFD tra rischi fisici cronici e acuti e si distingue ulteriormente a seconda dell’elemento impattato – temperatura, vento, acqua, massa solida.
Il secondo passaggio è volto a comprendere la rilevanza dei rischi climatici fisici attraverso una valutazione degli stessi e della vulnerabilità dei propri progetti/asset, che sia proporzionale alla portata dell’attività e alla sua durata (con valutazioni variabili a seconda che siano inferiori o superiori a 10 anni).
Il terzo passaggio prevede una valutazione delle soluzioni di adattamento che possono ridurre i rischi climatici fisici identificati e che devono essere implementate nel giro di cinque anni. Inoltre, non devono influire negativamente sugli sforzi di adattamento o sulla resilienza ai rischi climatici fisici di altri soggetti e devono favorire le soluzioni basate sulla natura (Nature-based solutions – NbS) o le infrastrutture blu o verdi. È necessario che le misure di adattamento siano coerenti con i piani e le strategie di adattamento sia a livello locale che nazionale.
(Qui puoi trovare il rapporto completo https://laboratorioref.it/rischi-cambiamento-climatico-pianificazione-industriale/)